L’Europa o è per la pace, o non è. Guardare alle origini per ritrovare il nostro futuro.
Scrivo in qualità di Segretario del Partito Democratico di Bergamo per condividere una riflessione sul ruolo cruciale che l’Europa è chiamata a svolgere in questo momento storico. Non posso che partire ricordando come i padri fondatori dell’Unione concepissero un progetto nato dalla volontà di garantire la pace dopo la tragedia delle guerre mondiali: un’intuizione illuminata che affonda le radici non soltanto nella necessità di ricostruzione materiale, ma nella convinzione che solo un continente unito, solidale e consapevole potesse scongiurare il ripetersi di simili orrori.
Oggi, però, siamo dinanzi ad uno scenario internazionale in cui la diplomazia sembra essersi eclissata, in parte sovrastata da una comunicazione fortemente polarizzata e da una “volontà di potenza” che silenzia le richieste di dialogo e mediazione.
Il recente voto del Parlamento europeo sul futuro della difesa europea e sul cosiddetto piano “rearm Europe” ha giustamente suscitato un dibattito acceso, specialmente nel nostro Paese, la cui Costituzione – grazie all’articolo 11 – sancisce e riflette una nobile tradizione pacifista. Il timore è che si scivoli in una lettura semplificata della realtà, ignorando la complessità dei contesti e dimenticando che, quando in gioco c’è la vita delle persone e il bene comune, occorre ragionare con equilibrio e visione.
Per affrontare un contesto geopolitico così complesso, l’Europa deve finalmente compiere il passo verso la propria autodeterminazione. Non basta più che sia una mera “camera di compensazione” tra Stati: l’Unione deve divenire un soggetto geopolitico autonomo e coeso, capace di esprimere una politica estera e di difesa comune. E oggi può farlo, deve farlo, impostando prospettive chiare e agendo già oggi sulla cooperazione rafforzata.
Eppure, vale la pena sottolinearlo con forza, questa prospettiva non deve in alcun modo tramutarsi in un’arma puntata “contro” qualcuno, bensì rappresentare il punto di partenza per affermare valori e principi condivisi “per” la pace, per relazioni internazionali equilibrate e per il benessere globale.
È doloroso leggere la risoluzione recentemente approvata dal Parlamento europeo se la si confronta con la tensione etica e l’idealità che animavano i Trattati di Maastricht e di Lisbona: lì vi era un’Europa che dichiarava con coraggio la propria missione storica, quella di essere un faro di pace e progresso; qui, il rischio è di scorgere un passo che potrebbe allontanarci da quella vocazione originaria.
Come Partito Democratico, ribadiamo la nostra posizione: non riteniamo che la risoluzione approvata, nel suo complesso, intercetti appieno la direzione giusta, ovvero la necessità di uno slancio ulteriore verso una vera sovranità europea. In particolare, in molti auspichiamo il consolidamento di una cooperazione rafforzata che, sin da subito, possa anche gettare le basi di un corpo di difesa comunitario, di mera difesa, chiamato ad intervenire unicamente su mandato del Parlamento europeo e dell’ONU, a sostegno della pace nelle missioni internazionali. In quest’ottica, ogni euro investito, non andrebbe concepito come una semplice spesa, ma come un investimento in sicurezza e in stabilità, purché sia chiaro e condiviso lo scopo di tutelare la dignità della vita umana e non si intenda come strumento di offesa o coercizione.
Non si tratta di costruire nuove barriere, ma di dotarci di strumenti concreti per diventare veri mediatori di conflitti: per prendere per mano il popolo ucraino nel suo doloroso presente, per accompagnarlo verso un futuro migliore, per far cessare la tragedia di una strage sanguinosa alle soglie dell’Unione, per dialogare alla pari con gli Stati Uniti e per riaprire la via del confronto civile con potenze globali come Russia e Cina. I leader non sono che il prodotto di una collettività: la vera sfida per il nostro futuro si gioca nel dialogo fra culture e comunità, ed è per questo che dobbiamo continuare a confrontarci e a costruire ponti, anche al di là del legittimo dispregio che possiamo nutrire verso certi Presidenti o sistemi politici.
La competizione internazionale, se ispirata al rispetto reciproco e a un autentico spirito di solidarietà, può e deve rimanere nell’alveo di un confronto civile, mentre le grandi sfide globali – dal cambiamento climatico alla lotta contro la fame e la miseria – richiedono una collaborazione profonda tra i popoli.
Il Novecento è stato definito “il secolo breve” e alcuni ne avevano decretato la fine con il crollo del Muro di Berlino. Senza peccare di superbia credo che invece sia finito in questi recenti anni, con l’inclinazione dell’ordine mondiale nato dal dopoguerra e con la piena manifestazione di quello nuovo.
Ma è evidente che le sue conseguenze e i suoi insegnamenti permeano ancora oggi il nostro agire: c’è bisogno di un’Europa capace di proseguire il cammino iniziato sulle macerie di un continente distrutto, ma rinato più forte proprio grazie alla forza del dialogo e della solidarietà. Ricordiamoci, dunque, che l’Europa o è per la pace, o non è; e se ha smarrito la sua missione, è dai valori e dalle origini che deve ripartire, per non rinunciare a essere, ancora una volta, la speranza di un futuro più giusto e pacifico per tutti.
Gabriele Giudici
Segretario Provinciale del Partito Democratico