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Giudici: Ius scholae e soli una battaglia di giustizia

Negli ultimi tempi è tornato al centro del dibattito pubblico il tema della riforma per l’ottenimento della cittadinanza a livello nazionale, con alcune forze dell’attuale governo che hanno manifestato apertura verso una possibile revisione della normativa. Su questo argomento, la nostra comunità democratica e progressista ha investito impegno e convinzione per oltre cinque legislature. Domani, 10 settembre, riprenderanno i lavori in Aula a Montecitorio con la discussione del DDL Sicurezza, all’interno del quale la questione della cittadinanza sarà uno degli argomenti più rilevanti. Invitiamo a una riflessione ampia e condivisa, che valorizzi il carattere dinamico della società, della cultura e dei processi migratori, nell’ottica di un dialogo costruttivo e aperto al cambiamento. È giunto il momento per il nostro Paese di fare una scelta di campo: riconoscere che l’Italia è da decenni una nazione di immigrazione e che la sfida che dobbiamo affrontare non è solo quella dell’accoglienza, ma quella della costruzione di una comunità nuova, unitaria e inclusiva. Questa scelta non può più essere rimandata, perché non riguarda solo una minoranza, ma il futuro stesso della nostra società.   Quando parliamo di cittadinanza non ci riferiamo semplicemente a uno status giuridico o a un pezzo di carta. La cittadinanza è il riconoscimento di un’appartenenza che nasce dal vissuto quotidiano, dalla condivisione di valori, esperienze e sogni. Eppure, oggi, migliaia di ragazze e ragazzi, nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri, si trovano di fronte a un paradosso crudele: pur essendo italiani di fatto, per la legge non lo sono. Li vedo stupiti, smarriti, quando realizzano che lo Stato non li considera parte della comunità in cui hanno sempre vissuto. In quel momento, capiscono di essere trattati come “altri”, come corpi estranei, nonostante abbiano condiviso gli stessi banchi di scuola, le stesse esperienze di vita, e lo stesso amore per questo Paese. Parallelamente, chi è Sindaco o Amministratore, vede mensilmente quanti discendenti di italiani nati all’estero, che mai sono stati nel nostro paese e che non parlano italiano, fanno richiesta di cittadinanza. Questo perchè vale il sangue, la discendenza, con l’attuale sistema. Precisiamo: in un paese che, come l’Italia, non conosceva l’immigrazione ma un fenomeno secolare di forte emigrazione, era direi normale e anzi doveroso cercare di “tenere i legami” con i propri concittadini all’estero. Ma oggi siamo in un altro mondo, in un altro sistema. Cambiare legge è una semplice presa d’atto del presente. Perchè mai il trisnipote di un emigrato dell’800 che non è mai stato in Italia dovrebbe avere più diritti di un ragazzo nato in uno dei nostri Comuni?   Lo ius scholae è una risposta necessaria, anche se solo un primo passo, a questa ingiustizia. Non stiamo parlando di fare concessioni, ma di rendere giustizia a chi è già parte integrante della nostra società. Riconoscere la cittadinanza a chi è cresciuto e ha studiato in Italia non è un regalo, ma il riconoscimento di un fatto: queste ragazze e ragazzi sono già italiani, nel loro cuore, nella loro mente e nel loro quotidiano. Negare loro questo diritto significa imporre una distanza artificiale che alimenta esclusione e frustrazione, mettendo a rischio la coesione sociale.   Il concetto di cittadinanza, oggi, deve essere ripensato e adattato alla realtà attuale. L’Italia non è più quella di trent’anni fa, quando fu scritta l’attuale legge sulla cittadinanza. Oggi le nostre classi scolastiche, i nostri quartieri, le nostre città sono luoghi di convivenza multiculturale, in cui identità diverse convivono, si intrecciano e creano una nuova identità italiana, più ricca e plurale. Lo ius scholae e lo ius soli (seppur diversi) non sono solo questioni legali, ma rappresentano una battaglia di giustizia sociale che non possiamo più permetterci di rimandare.   Chi si oppone a queste riforme spesso lo fa brandendo la paura del cambiamento, del diverso. Ma la verità è che riconoscere la cittadinanza a questi giovani non minaccia le nostre radici, al contrario, le rafforza. Una società che si chiude in se stessa, che difende i privilegi di pochi, è destinata a indebolirsi. Una società che invece include, che riconosce la pari dignità di tutti, cresce e si arricchisce. E in questo senso, lo ius scholae è un atto di riconoscimento di ciò che già esiste: una nuova generazione di italiani, con storie diverse ma un destino comune.   Politicamente, siamo di fronte a una finestra di opportunità. Le forze progressiste hanno portato avanti questa battaglia per anni, e oggi, finalmente, c’è un’apertura anche in altre forze politiche. L’apertura di Forza Italia su questo tema è un segnale che certifica che i numeri in Parlamento per approvare questa riforma, ora, ci sono. L’auspicio è che ora si agisca, e che questa discussione non resti imbrigliata nell’ex discussione agostana, ora superata. Inoltre, non dobbiamo fermarci qui: la riforma della cittadinanza è solo il primo passo verso un cambiamento più profondo. Dobbiamo anche superare leggi anacronistiche come la Bossi-Fini, che continuano a criminalizzare l’immigrazione e a perpetuare una visione emergenziale e repressiva del fenomeno migratorio.   Questa non è una battaglia di numeri o di burocrazia. È una battaglia per il futuro dell’Italia. È il momento di scegliere se vogliamo essere un Paese che si chiude nella paura, o un Paese che guarda al futuro con coraggio e fiducia. Negare la cittadinanza a questi giovani significa privare l’Italia di energie, competenze e prospettive che sono essenziali per il suo futuro. Riconoscerla, invece, significa costruire un’Italia più giusta, più forte e più coesa, capace di affrontare le sfide del domani.   Gabriele Giudici, Segretario Provinciale Partito Democratico Bergamo.
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