Solo quando Filippo II decise di portarvi nel 1561 la sua corte, Madrid prese a crescere e moltiplicarsi con le sue strade, monumenti, quartieri, personaggi e date storiche. Pochi conoscono la sua storia remota, fu un territorio impiantato dagli arabi che popolavano la Spagna.
Il premio Nobel della letteratura, il peruviano, Mario Vargas Llosa nel definire il suo amore verso Madrid, spiega che essere nato lì non da nessun diritto perché in questa città tutto è di tutti, perché i suoi abitanti provengono da ogni angolo del mondo dando a questa comunità un carattere universale.
La candidata dei Popolari Isabel Diaz Ayuso punta molto su una Madrid liberale nel suo modo di fare come nei suoi costumi: puoi facilmente incominciare da zero la vita, cambiare il tuo lavoro come il tuo rapporto di coppia quasi fosse Bengodi.
Per la Ayuso questa è una identità da rimarcare: solo due anni fa nella precedente campagna elettorale, definì un assembramento nelle ore notturne di un sabato qualcosa di non negativo e che certamente la vita in una comunità è dura ma che bere una birra alla spina reca sollievo attuando misure meno restrittive. La novità più significativa di questa tornata elettorale è rappresentata dalla candidata progressista, del partito Mas Madrid, Monica Garcia che è accettata per il suo profilo sia di madre che di medico e replica che il vivere alla madrilena non è calpestare il prossimo dando alla città una dimensione caricaturale sganciata dalla realtà e del si salvi chi può, ma dispensare solidarietà.
Dopo la Catalogna, dove si è votato il 14 febbraio per il rinnovo del Parlamento regionale, oggi si voterà nella Comunità di Madrid con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale. Per motivi diversi queste elezioni nelle due Comunità autonome più importanti della Spagna hanno assunto un valore simbolico che va al di là dell’ambito regionale e sono assurte a test nazionale da cui dipende la sorte del governo di Pedro Sanchez e gli equilibri politici per i prossimi anni. In queste elezioni autonome è in gioco sia l’egemonia dentro la destra ma anche la trasformazione dentro la sinistra.
Sono queste due regioni, dove la pandemia ha colpito più duro e la lotta politica è più polarizzata, aggravata da un’aggressività verbale e il recapito di buste minacciose contenente bossoli che produce un dibattito privo di qualsiasi proporzione così paradossale che come diceva Bertrand Russel, «a odiare sono più le loro virtù che i loro difetti». Più che sui contenuti programmatici ci si contrasta sul piano ideologico e il risultato lo si vuol leggere come un plebiscito sul governo Sanchez. Così facendo, Barcellona e Madrid rischiano di apparire i due motori avariati della Spagna. Sicuramente la Catalogna, prigioniera delle sue ossessioni secessioniste , ha perso il primato di regione più sviluppata e ricca di Spagna proprio a favore della una volta sonnolenta e burocratica Madrid, il cui Prodotto interno territoriale ha superato nel 2018 quello della Catalogna. Tutto questo avveniva prima della catastrofe del coronavirus. In Catalogna hanno vinto i partiti indipendentisti che hanno ottenuto non solo la maggioranza dei seggi, ma hanno superato per la prima volta il 50% dei voti. Nonostante questa eclatante vittoria dopo oltre due mesi e mezzo i due partiti favorevoli all’indipendenza (la realista Esquerra republicana de Catalunya-Erc e gli integralisti di Junts, seguaci di Puigdemont ) non sono riusciti ad accordarsi per formare un governo su un programma condiviso. Si fa presto a portare la gente in piazza, ma più complicato riportarla a casa.
La crisi catalana
L’incancrenirsi della crisi catalana espone Il fragile governo di coalizione Psoe/Podemos, che si regge sull’astensione di (Erc) e dei nazionalisti baschi, al rischio di logoramento, ne evidenzia le contraddizioni e avvantaggia i partiti di centro destra, sia il Partito popolare (Pp) di Pablo Casado che risale nei sondaggi, sia il movimento populista di estrema destra Vox che si consolida come terzo partito di Spagna, mentre il centrista Ciudadanos (C’s) rischia di scomparire nel continuare ad inseguire quell’illusorio e vuoto spazio chiamato centro. I due partiti di destra, pur avendo programmi distinti e pur essendo in competizione fra loro, governano insieme in alcune Comunità autonome e in molte città. Fra queste la Comunità di Madrid dove la giovane e ambiziosa presidente Isabel Diaz Ayuso (41 anni), figura emergente del Pp eletta 2 anni fa, ha sfidato apertamente il governo centrale sia sull’emergenza sanitaria disattendendo le restrizioni imposte dallo «stato di allarme» nella seconda e terza ondata, sia decretando lo scioglimento del Parlamento regionale e convocando nuove elezioni, in piena pandemia, per disfarsi dell’alleato C’s, in profonda crisi di identità, fagocitarne la classe dirigente e governare da sola, o al massimo con l’appoggio esterno di Vox. In ottobre di fronte a un alto numero di contagi e di morti a Madrid e nella sua area metropolitana, l’esecutivo presieduto da Isabel Ayuso rifiutò di proclamare il confinamento con le conseguenti chiusure di attività in tutta la Comunità, limitandosi a chiudere alcuni quartieri periferici e costringendo il governo Sánchez a intervenire e proclamare un lockdown di 15 giorni per la capitale e il suo hinterland (che interessava 4,5 milioni di persone). La stessa cosa è avvenuta durante la terza ondata in cui la Ayuso ha ripreso il suo progetto di chiusure chirurgiche di zone perimetrate, permettendo la riapertura di bar, ristoranti, musei, cinema, teatri e palestre della capitale che dai primi di aprile è tornata ad una situazione di quasi normalità.
Nonostante la Comunità di Madrid sia stata l’epicentro del contagio con 673 mila contagiati e quasi 15 mila deceduti su 6,5 milioni di abitanti, la popolarità di Isabel Ayuso è cresciuta, si è fatta la fama di una donna energica che non esita a sfidare il governo per difendere l’autonomia della Comunità e gli interessi delle categorie più colpite dalle restrizioni. Nella sua campagna elettorale non ha peli sulla lingua, accusa Sánchez di essere un «liberticida», di flirtare con coloro che vogliono rompere l’unità della Spagna, di aver portato al governo i comunisti e gli eredi dell’Eta che, senza la sua candidatura, avrebbero conquistato Madrid. Non ha bisogno nella sua campagna elettorale di «padrini» che la sostengono come gli ex presidenti Aznar o Rajoy, e solo con moderazione dell’attuale presidente del Pp Pablo Casado che è un suo coetaneo. Fa tutto da sola con tecniche di comunicazione che piacciono ai giovani. come il video, diffuso sui social con centinaia di migliaia di visualizazioni in cui appare lei in tuta e mascherina che corre per le strade di Madrid, non deserte come ci si aspetterebbe, ma animate, con i negozi aperti e le vetrine illuminate, rasentando muri e lampioni, dove, privo di alcun testo che lo motivi, appare il suo volto insieme alla parola libertà. Come se fosse la stessa candidata a garantirne la sopravvivenza, e non la Costituzione e lo Stato di diritto. Ci si scontra sulla scelta dei valori universali come fossero «proprietà» dei contendenti: il dibattito politico ne esce deteriorato da ossessioni ideologiche.
Per fermare la Ayuso e Vox è sceso in campo il leader di Podemos Pablo Iglesias (42 anni) che, con una mossa azzardata, si è dimesso da vice-presidente del governo per concorrere alla presidenza della Comunità di Madrid. Probabilmente dietro la mossa di Iglesias ci sono altre motivazioni sia personali che politiche, ma i sondaggi non lo premiano. Il confronto con Isabel Ayuso che viaggia intorno 41% che le garantiscono 59 seggi, doppiando quelli che aveva ottenuto nel 2019, è impietoso. Ma spiegabile, in quanto la neo-presidente prosciugherebbe il bacino elettorale di Ciudadanos che aveva il 26% dei voti ed oggi non raggiungerebbe il quorum del 5%. Tuttavia non le bastano per governare da sola, ma avrebbe bisogno dei 13 seggi di Vox, la cui candidata Rocio Monasterio (un’altra quarantenne combattiva che con le sue provocazioni incarna il franchismo sociologico banalizzando la violenza) ha costretto Pablo Iglesias ad abbandonare il dibattito organizzato dalla catena radiofonica Ser, già assapora il gusto del potere e le vendette da consumare contro gli odiati comunisti, le femministe, gli indipendentisti e i loro pavidi apripista socialisti. Il blocco di sinistra avrebbe il 45% dei voti e 64 seggi contro il 50% e 72 seggi delle due destre. Il Psoe perde 7 punti (dal 27 al 20% dei voti e 9 seggi), forse perché ha sbagliato la scelta del candidato. Nella civiltà dell’immagine in cui i candidati sono giovani e 3 su 6 sono donne, il Psoe ha riproposto la candidatura di Angel Gabilondo, un professore di filosofia settantenne, già rettore dell’Università autonoma di Madrid e ministro dell’istruzione nel governo Zapatero, che è apparso fuori contesto e poco attrattivo. Buon risultato della candidata della piattaforma civica Màs Madrid, Monica Garcia (47 anni), un’anestesista che è stata in prima linea nei momenti più tragici della pandemia e gode di una meritata popolarità perché affronta la quotidianità dei problemi: è accreditata al 17,6% e quindi tallona da vicino i socialisti. Infine – come già detto – Podemos sfiora l’8% dei voti e 11 seggi. In questa tornata elettorale madrilena Podemos e Ciudadanos, nati per rompere il bipartitismo, si trovano oggi a un’autentica prova del fuoco, ma nelle urne possono anche esserci sorprese.
In Spagna, come in Italia, il problema è sempre più come guarire le nostre fragili democrazie, come riformare un sistema di welfare adattato alle esigenze della società del XXI secolo, come dovrà evolvere l’Unione europea che con il Next generation Eu ha fatto un passo importate verso una maggiore coesione e solidarietà battendo l’insorgenza populista.
Crescono le povertà
Cresce un accampamento che è la somma di tante stratificate povertà, ai margini dello smart working, delle digitalizzazioni, delle delocalizzazioni, del fallimento di tante piccole imprese soprattutto giovanili, dalla fine del blocco dei licenziamenti, della intelligenza artificiale: in sostanza di un sistema economico che cresce ma non dà lavoro, anzi espelle, chi si occupa politicamente di questa vasta umanità? Questa sfida rischia di rattrappirsi tra una destra dal linguaggio diretto, semplificato da odio e intolleranza, che capitalizza una certa stanchezza verso una sinistra che si erige a referente morale, definendo più i confini altrui e meno i propri, mentre le servirebbe una progettualità nuova che punti a ridisegnare il ruolo dello Stato nel campo della salute, dell’economia, dei diritti e della protezione sociale che riduca le diseguaglianze che la pandemia ha ingigantito ridando qualità alla democrazia. Per evitare di raccontare la realtà secondo i propri desideri occorre garantire il diritto alla differenza, senza differenziare i diritti. Serve come non mai di audacia e immaginazione politica e una capacità di reinventarsi al servizio degli interessi di tutti: è l’unico modo di stare lontani dal precipizio.
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