Bergamopost intervista Davide Casati: “Il PD bergamasco vicino alle persone”
Casati, sa che il Pd non è un partito simpatico?
«Lo so bene».
E che cosa pensa di fare?
«Vorrei che tutte le persone del gruppo dirigente fossero viste come umili, al servizio degli altri, attraverso il lavoro e con l’esempio, e…».
E?
«Sorridenti. La gente ti deve vedere in modo positivo, devi essere credibile. Per questo serve ricostruire prima di tutto un rapporto umano».
Da fine novembre, il Pd ha un nuovo segretario provinciale, Davide Casati, sindaco di Scanzorosciate. Lui ha scelto le quindici persone della segreteria, «tutte nuove tranne il sottoscritto» (Casati era già vicesegretario di Gabriele Riva negli ultimi tre anni e mezzo), chiamate a dare un volto più popolare ai democratici di sinistra. «Un bel giro di ruota», lo definisce.
Sa che tutti parlano bene di lei?
«Sento stima».
Il vostro si direbbe un passaggio generazionale riuscito. È finita la stagione dei Martina, dei Rossi, dei Riva, dei Misiani?
«Non direi che è finita la stagione…».
Diciamo che si è voltato pagina?
«Si è aperto un ciclo nuovo, ed è una cosa normale. Succede anche nei Comuni quando un sindaco passa la mano: diverso sarà lo stile, diversi gli obiettivi e diversi i caratteri».
Qual è il peggior difetto del Pd di oggi?
«Essersi scollato dalla realtà, non riuscire a cogliere i bisogni e le paure delle persone. Così almeno viene percepito. E poi, si presenta diviso al suo interno».
Questo è un limite storico.
«Ma se non sei unito non puoi pensare che la gente ti affidi la guida di una comunità. Per governare un Comune, o un intero Paese, devi dare la sensazione di essere in grado di tenere insieme tutto, nonostante le difficoltà e le disuguaglianze che ci sono. Il mio obiettivo è proprio questo: mostrare, a tutti i livelli, un gruppo dirigente unito, in cui ci sia stima reciproca».
Lei è zingarettiano, renziano, antirenziano…?
«Ai congressi ho votato Veltroni, Franceschini, Renzi e Martina. Ma è difficile etichettarmi, perché politicamente sono nato come amministratore locale».
Se ne deduce che Zingaretti non è il suo preferito.
«Dal punto di vista della storia e del retroterra culturale, no. Però quando l’ho conosciuto personalmente mi ha sorpreso in positivo: l’ho apprezzato sia a livello umano che di contenuti. Il tema è poi capire come una brava persona, con idee condivisibili, riesca a far breccia nell’elettorato».
Chi è il suo principale avversario?
«Tutte le persone che non vedono il Pd come un’alternativa credibile».
Alternativa alla Lega, immagino.
«Non vedo altri. Ma direi più a Salvini che alla Lega».
Anche tempo fa si diceva “Non è la Lega, è Bossi”, oggi: “Non è la Lega, è Salvini”. Ma la Lega c’è sempre.
«Cinque anni fa era al 5 per cento, oggi viene data al 40 a livello nazionale. Salvini ha fatto la differenza».
Forza Italia?
«Si sta sgonfiando».
I Cinque Stelle?
«Si stanno dimostrando quello che ho sempre pensato: non basta dirsi onesti e volenterosi, bisogna anche essere competenti e aver fatto un pò di gavetta nelle istituzioni locali, stando in mezzo alla gente».
Quindi in nemico è la Lega?
«Non individuo mai l’oppositore, il mio impegno è puntare alle persone che oggi non mi votano per dire loro che noi possiamo, meglio di altri, aiutarle ed affrontare i loro problemi e i loro bisogni. il mio vero nemico è l’indifferenza. Chi non crede in noi, chi non va più a votare perché è sfiduciato».
Ma il Pd c’è?
«C’è eccome, pur con tutti i suoi limiti. Nasce nel 2007 e prende il 33%, scende, poi risale e arriva al 40% e passa. anche oggi siamo al 21% a livello nazionale. Noi siamo radicati sulla dimensione provinciale. Il nostro partito ha 100 circoli in tutta la bergamasca, 3000 volontari che fanno attività pubblica tutte le settimane. Però puoi avere 100 circoli e fare 2000 iniziative, ma se a livello nazionale non si presenta un vertice forte e credibile, non riusciamo ad incidere molto».
E a livello locale?
«Abbiamo una classe politica radicata e di valore che ci ha fatto vincere alle amministrative. Siamo riusciti a tenere tutti i comuni dove eravamo uscenti e rubare qualche paese alla Lega. Ciò significa che la stessa gente che vota Salvini, nei comuni scende Davide Casati o Pasquale Gandolfi».
Gori è del Pd o il PD di Bergamo è di Gori?
«Gori è del Pd come lo sono io».
La lista Gori a Bergamo ha preso tanti voti quanti il PD. Ma quando il sindaco ha dovuto comporre la squadra ha premiato più il Pd che i suoi. Vuol dire che lei è riuscito a imporsi…
«Al tavolo delle trattative ci siamo visti per cinque giorni di fila. E’ stato un confronto sulle persone prima che sulle liste. Gori attorno a se vuole collaboratori competenti, determinati e motivati».
E guardacaso gli uomini giusti li avevate voi…
«Li avevamo noi e li avevano le altre liste».
Lo ammetta, ha vinto lei.
«Abbiamo fatto delle riunioni intense. Con Gori c’è stima e franchezza. Lui è un tipo deciso ma siccome lo sono anche io, ci siamo conosciuti ancora meglio. E’ stata una bella esperienza».
Che cosa comporta fare il segretario provinciale del PD?
«Trovare persone competenti che fanno elaborazione politica e tenere i rapporti con gli amministratori e i militanti: sedersi a bere una birra con loro spesso vale più di una riunione».
Elaborazione politica…cioè?
«Un partito deve saper proporre idee per affrontare sfide del futuro, la lavoro al welfare. Tra 10 anni il tema dell’invecchiamento della popolazione sarà una emergenza, noi che risposte proponiamo?».
Come è la sua squadra?
«Ho scelto le migliori persone che potessero garantire un equilibrio tra territori e orientamento culturale. Nel Pd ci sono tante anime: c’è chi proviene dall’area cattolico-democratica, chi dall’ala liberale, chi è più a sinistra».
Resta il fatto che appare come il partito della borghesia.
«E’ il mio cruccio. in realtà, se guardo i sindaci, gli amministratori e i volontari, vedo gente normalissima. Mi batterò per far percepire il Pd per quello che è: una forza popolare».
Perché è cosi difficile?
«Perché tanti fra noi fanno discorsi bellissimi dal punto di vista dei valori e dei principi, ma poi non li mettono in pratica. Quando ripeti che bisogna essere accoglienti, solidali e inclusivi e non tieni conto del senso di paura della gente, fai solo della teoria. Invece bisogna considerare attentamente e dare risposte concrete anche a questi timori».